Il Buco – Recensione del film Netflix

Il buco

(Galder Gatzelu-Urrutia,2019)

Girovagando per il catalogo Netflix, si può andare incontro a ogni genere di pellicola, fortunatamente. Dai blockbuster americani, ai film intimisti europei, a pellicole di genere. Francamente, però, quando mi avvicino a una pellicola prodotta proprio da Netflix, ho sempre un leggero timore. Certo, c’è sempre qualche sorpresa, come per il bellissimo film “Annientamento”, ma sono fin troppo abituato a trovare pellicole autoprodotte dalla piattaforma stucchevoli, inconsistenti, senza una vera e propria vena artistica. Fortunatamente, Il Buco non fa parte di quest’ultima categoria, e anzi a mio avviso è una perla del genere. Ma parliamo della trama. Che storia nasconde un film con un titolo così semplice ma anche così enigmatico?

Il buco è una struttura penitenziaria verticale molto particolare. E’ composto da centinaia di celle, poste una sopra l’altra, e al cui centro si trova un buco. Per questo buco, dall’alto verso il basso, passa una tavola imbandita di leccornie, unico sostentamento di TUTTI i carcerati. Quindi i primi a usufruire della tavola potranno mangiare a sazietà, mentre negli ultimi livelli la gente muore di fame, visto che non le arriva nulla. Ogni carcerato può portare nella prigione solo un oggetto. Noi seguiamo il punto di vista di Goreng, il quale si sveglia in una delle celle di medio livello, insieme a un vecchio, che sembra molto più esperto di lui riguardo alla situazione in prigione, e lo inizierà alle regole della struttura. Non vado avanti con la trama per evitare spoiler.

Il film ha quindi un Incipit molto semplice, ma che nasconde un’allegoria efficacissima, politica oserei dire. Questa prigione funziona esattamente come la società che viviamo tutti i giorni. L’uomo è egoista, pensa solo a sé stesso, se ha delle ricchezze tende a usarle in eccesso, senza pensare ai più bisognosi, ritiene sia un proprio diritto. Così i detenuti ai livelli più alti mangiano a più non posso, più di quanto gli serva effettivamente, non pensando agli altri più in basso, lasciando che gli ultimi (nella nostra società sarebbero i poveri) si uccidano letteralmente per un tozzo di pane. Se poi qualcuno, come il nostro protagonista, cercherà di sistemare le cose, di rendere tutto uguale per tutti, di togliere un po’ ai ricchi per dare ai poveri, verrà additato come comunista, come pazzo. L’uomo, davanti alla propria sopravvivenza o al proprio benessere, diventa cieco, perde qualsiasi tipo di solidarietà e pensa solo a sé stesso. Anzi, chi abita i piani più alti si sente superiore a chi sta sotto, sente di meritarsi di più. E’ una feroce critica al sistema capitalistico odierno, dove pochi hanno tanto e tanti hanno niente. Una visione pessimistica della vita, che tecnicamente è resa in modo discreto. Certo, non ci sono virtuosismi di macchina, ma c’è una certa logica artistica nelle scelte delle inquadrature. I personaggi, nella loro sofferenza, vengono inquadrati da vicino, a macchina a mano, sentiamo il peso del loro fiato e il puzzo dello sporco. Nelle situazioni di calma invece, la telecamera è ferma, distaccata, inquadra le cose da lontano, lasciando un senso di vuoto. La fotografia passa da un grigio freddo a un rosso acceso, puntualizzando ancora di più la differenza dicotomica tra violenza e desolazione.  Le musiche sono minimali, o addirittura assenti. Perché è questo che porta il film: senso di vuoto per la razza umana, sporcizia dell’animo e tanto sangue. La pellicola è molto violenta, vicino allo splatter.  Le lotte sono rese bene, sono sporchissime, la macchina da presa non sta ferma, ti porta veramente a viverle. I personaggi sono la rappresentazione marcia della lotta di classe, non ce ne è uno che sia veramente buono. Anche Goreung, che parte come animo buono e nobile, dovrà passare scelte sofferte, e la sua follia è veramente dietro l’angolo.

Un film politico quindi, grezzo per certi versi ma molto divertente, che può affascinare per la sua semplicità. Lo consiglio a tutti quelli che cercano un film che sia introspettivo ma allo stesso tempo un po’ cazzone, facile da mandare giù. Per molti versi mi ha ricordato The circle ( per la situazione singolare e l’ambiente ristretto), The raid e la Horde ( per un certo tipo di violenza e per la struttura, a videogame. Capirete guardandolo)

Lo sconsiglio a chi è di stomaco troppo leggero (alcune scene vi faranno rizzare i peli sul braccio) e a chi piace spegnere il cervello quando guarda un film.

 

 

 

Mi lascio un piccolo spazio per qualche pensiero personale. Il film mi è piaciuto, scorre facilmente ed ha quel tocco di violenza gratuita che a me garba tanto. Ti affezioni subito al protagonista e alla sua lotta sia esteriore che interiore. La regia come dicevo la trovo molto semplice, ma per un film come questo è perfetta. Poi sono molto sensibile ai temi trattati, quindi per me il film non può che essere promosso.

Voto: 3/5

Francesco Giacomi aka Krowed

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