Il marchio del demonio (Cohen, 2020) – Recensione del film horror disponibile su Netflix

Il marchio del demonio  (Cohen, 2020)

Ci sono film indipendenti fantastici, che lasciano senza respiro anche senza una briciola di budget. Film che dimostrano che non c’è bisogno dei soldi, quando hai una vena artistica dentro di te. Questo, mi duole dirlo, non è il caso de “IL marchio del demonio”. Produzione messicana distribuito successivamente da Netflix, è il solito film sulle possessioni demoniache. Non porta assolutamente nulla di nuovo al genere, mancando quindi di una vera e propria identità. La trama è delle più banali che il genere degli esorcismi, iniziato negli anni ‘70 con quel capolavoro de “L’esorcista”, abbia mai visto. In un villaggio nel Messico, un prete fa un esorcismo su un bambino sporco di sangue. Concluso il lavoro, il bambino sembra morto, quindi la gente del paesino decide di gettare il suo cadavere. Ma il piccolo è ancora vivo. Trent’anni dopo, un’adolescente, dopo essere stata a una festa, verrà posseduta da un’entità simile a quella che ha posseduto il piccolo tempo prima. Sarà proprio il bambino, ormai diventato adulto, a doverla salvare, con l’aiuto di un suo amico prete. La storia è quindi lineare, particolarmente piatta, ma ciò non toglie che si possa alimentare con delle pennellate di innovazione o quantomeno con qualcosa di nuovo.  A parte le forti citazioni a Lovecraft e al suo Necronomicon(autore che non ha mai scritto di esorcismi o possessioni, quindi questi rimandi mi sembrano particolarmente fuori luogo) il film non ha nulla. I passaggi narrativi del genere restano sempre gli stessi: la famiglia che all’inizio non crede alla possessione, occhi neri senza pupilla che la posseduta sfodererà solo quando le farà comodo, vomito composto sopratutto di sangue, uno dei preti che è praticamente un reietto(quindi si stravolge la figura dell’uomo ecclesiastico, sai che novità). Anche se è indipendente, il film presenta un comparto tecnico veramente amatoriale: la fotografia è inesistente, i movimenti di macchina sono spesso francamente sbagliati, ci sono panoramiche inutili, che non portano nulla alla logica creativa; il montaggio è da collasso, l’uso dei ralenti e delle accelerazioni è usato senza condizione di causa. Gli attori sono veramente pessimi, non mostrano emozioni o le mostrano sbagliate per la situazione. I personaggi si comportano in modo schizofrenico, senza nesso causa-effetto, e sono caratterizzati quanto un adesivo da due soldi. I fastidiosissimi jumpscare, assassini del genere, sono loffi, fuori tempo, incapaci di compiere quel poco che dovrebbero fare. Le musiche sono tronfie, inutilmente auliche, e anche esse fuori contesto. Si salva solo l’uso del sangue e delle interiora, delle frattaglie, fatte abbastanza bene. Ma una delle cose che proprio non posso perdonare a questa pellicola sono i continui rimandi al maestro del cosmic horror, Lovecraft. Da fan dello scrittore del New England, posso capire che magari il regista volesse elogiare uno dei suoi mentori, ma non in questo modo. Ci sono stati casi in passato ( basta vedere “La casa” di Sam Raimi) in cui alcune creazioni di Lovecraft sono state usate decontestualizzandole in un film. Il problema è che in “Il marchio del demonio” si vuol far veramente credere che creature come gli Dei antichi (o i figli degli Dei antichi, che ovviamente nella letteratura Lovecraftiana non esistono) possano  o vogliano impossessarsi di un umano. Per chi non lo sapesse gli Dei antichi sono creature oltre la comprensione umana, che varcano i concetti fisici della nostra esistenza, che hanno generato il nostro universo. Entità così forti che potrebbero schiacciare il nostro mondo solo pensandolo. Allora perché creature così potenti si sforzerebbero inutilmente di possedere umani, creature che nei loro confronti sembrano formiche? Francamente, non ha senso. Questa cosa mi ha lasciato particolarmente perplesso, e mi ha fatto abbassare ancora di più la già poca stima che ho avuto per questa pellicola.

Sinceramente non consiglierei a nessuno questo film. Mi dispiace ammetterlo, e ovviamente è sottinteso che io, come critico, faccio un lavoro infinitamente meno di valore delle persone che hanno lavorato, hanno messo tutte sé stesse in questa pellicola. Perché, nel mare di inesattezze e di brutture, ho scorto comunque nel film della passione, di artisti che credevano nella loro opera. Resta il fatto che “Il marchio del demonio” è un film già visto, debolissimo tecnicamente e che lascia frustrazione in qualcuno che si aspetta più di semplici jumpscare o possessioni al letto da un Horror.

Ecco, forse consiglierei la visione a chi non è avvezzo al genere, per capire quali film evitare.

Mi lascio andare alle mie considerazioni personali. Anche se dura solo un’ora e venti, il film è stato faticosissimo da portare a termine. La noia mi ha portato più volte a pensare di spegnere e di vedere qualcos’altro. I personaggi mi hanno irritato dall’inizio alla fine, e i continui clichè mi hanno dato il volta stomaco. Poi io detesto questa orribile idea di mettere un ralenti e subito dopo un’accelerazione, è qualcosa che rende inutilmente tamarra una scena, facendo uscire lo spettatore dall’immedesimazione drammatica. Un’occasione mancata.

 

Voto:1/5

Francesco Giacomi aka Krowed

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