Tutti vogliono essere Sense8 – recensione seconda stagione

Il ritorno di Sense8 era già stato annunciato a Dicembre, con lo speciale Natalizio che le sorelle Wachowski avevano proposto. Due ore di puntata che lasciavano intuire una seconda stagione ben congegnata; con il giusto mix di azione, romanticismo e umanità che lega gli otto protagonisti, Lana e Lily ci avevano lasciato un assaggio delizioso.

Ebbene, era solo questo: un assaggio. Perché la seconda serie stupisce, confonde, sorprende e ci lascia interdetti. La struttura narrativa è sempre la stessa; un intreccio mentale, un susseguirsi di scene girate per due volte in luoghi diversi; dai panorami suggestivi dell’India a quelli freddi della Germania, dalla natura Africana alla tecnologia Cinese, dall’Europa all’America. Ritroviamo i nostri protagonisti esattamente dove li avevamo lasciati, impegnati a combattere con Whispers – quel nome che significa “sussurri”, e che si configura in modo metaforico all’interno della storia come tutte le altre piccolezze che rischiano di passare inosservati. Interrogativi, domande, chi sono io? Questioni di razza, di sessualità; la carne al fuoco è così tanta che il rischio per una serie del genere è che pretenda troppo da se stessa, arrivando a banalizzare una serie di messaggi che passano in sordina, ma invece sono importanti. Specialmente per il momento storico che stiamo vivendo: perché aldilà della serie TV, quello che Sense8 fa è mirare ad abbattere le barriere culturali, facendo perno sul fulcro comune: l’umanità, quella di cui troppo spesso ci dimentichiamo.

Un plauso, poi, va agli sceneggiatori e al loro modo non solo di rendere la crescita dei personaggi, ma anche di inserirli all’interno del giusto contesto; così, la storia di Sun affonda le proprie radici nella cultura orientale, rendendola simile a quella di un’anime giapponese. La storia di Wolfgang si rifà alle divisioni interne di Berlino, quella di Nomi scomoda addirittura il gruppo di hacker Anonymous. Da un’India ricca, Kala combatte assieme a Capheus la povertà del Kenya, mentre Riley e Will affrontano le difficoltà insieme – e in un rovescio di ruoli è lui a dover essere forte per lei. E infine Lito, quello più sorridente e in un certo senso più superficiale, che si ritrova a combattere contro le ristrettezze mentali del Messico. Ogni personaggi viene inserito nel giusto contesto, senza tuttavia essere a disagio o fuori luogo in quello di un altro; le scenografie restano sensazionali, si ha per tutto il tempo la sensazione di viaggiare nel mondo, mentre i dialoghi e gli scambi tra i Senzienti portano a una riflessione intrinseca che riguarda ognuno di noi.

Una seconda stagione, quindi, letteralmente da divorare. E con un finale in crescendo, che fa desiderare immediatamente l’arrivo della terza – sperando che le sorelle Wachoski riescano nella difficile e per nulla scontata impresa di superare se stesse.

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