Trainspotting. Il cult di Danny Boyle.

In attesa di visionare il sequel del celebre cult Trainspotting diretto da Danny Boyle vi proponiamo la recensione del primo incontro con Mark,Francis, Sick Boy e Spud.

Trainspotting racconta di quattro amici, quattro modi di reagire alle difficoltà della vita in cui Danny Boyle con la sua mano molto abile descrive senza moralismi inutili la realtà della tossicodipendenza . Mark Renton ha scelto di rinunciare alla vita, non si interessa del futuro e reprime ogni possibilità di realizzarsi come essere umano; Francis Begbie invece è il più stupido dei quattro, impulsivo,alcolizzato e con una propensione per la violenza, mentre Sick Boy, anche’egli drogato di eroina, non ha idea di cosa sia realizzarsi come persona; tra i quattro il più buono e ingenuo è Spud, un uomo un po’ goffo che vuole solo star bene con se stesso. Il cult diretto da Danny Boyle realizza attraverso i personaggi una riflessione sulla realtà della droga senza eliminare l’umorismo grottesco di fondo, il quale si riversa in tantissime scene grazie alla lucidità del regista che non sceglie di raccontare solo una storia di droga ma una storia di dipendenza.

L’ossessione dei protagonisti per l’eroina, fatta eccezione per Begbie, è data dalla loro pigrizia nell’affrontare una decisione,non avendo nessun proposito di reagire con forza alle sconfitte che subiscono durante la pellicola. La regia solida di Danny Boyle mette in luce le ombre di personaggi autentici, scritti in modo da farci simpatizzare con loro senza condividere il modo in cui agiscono; la composizione dell’immagine offerta dal cineasta in Trainspotting non viene trascurata e riesce perfettamente a trasmettere il disagio che l’eroina mette in circolo.

Il rapporto tra i personaggi è perfettamente costruito da una sceneggiatura che infonde nei personaggi un’aura tragicomica che non tradirà il finale,perfettamente inserito nella narrazione. Tratto dal romanzo di Irvine Welsh Trainspotting grazie a un’ottima sceneggiatura, alla messa in scena di Boyle in cui si ispira citando Kubrick e Scorsese, confeziona non un capolavoro ma uno dei più importanti film degli anni novanta.

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