Recensione – La scoperta | Netflix

AVVERTENZA: la presenza di loop nella presente recensione potrebbe causare vertigini e sensi di nausea. Se i sintomi persistessero, consultare un medico.

«Cosa c’è dopo la morte?»
«Forse è meglio non saperlo.»

È da questo dialogo che ho appena inventato, ma che potrebbe benissimo essere contenuto nel lungometraggio “La scoperta”, distribuito da Netflix, che parte il tema del film.

È un lungometraggio di fantascienza che ti incastra con un incipit da scoppiettio di pop corn, perché ti getta a capo fitto sul prodotto che ha reso vincente il marketing di tutte le religioni, cioè Hal-dee-laH. Si che lo conosci, quello che il claim fa: “Paura che la tua vita sia stata inutile? Hai tanta, ma tanta voglia di rivedere i tuoi cari morti? Hal-dee-laH e alla morte fai cia’ cia’. Hal-dee-laH non ha bisogno di batterie. Si ricarica a preghiere e speranza diluita in una lacrima di credulità.”

Ok. Da quando l’Homo Sapiens si è fatto uno shampoo a base di illuminismo, nella sua testa qualcosa è cambiato ed i followers di Hal-dee-laH hanno cominciato una lenta, ma irreversibile diminuzione, anche per via della poca credibilità dei venditori porta a porta del prodotto. A loro parziale discolpa c’è da ammettere che i reparti marketing delle religioni le hanno tentate veramente tutte. Qualcuna ha tentato il cambio dell’amministratore delegato con personaggi più spigliati anche nell’uso dei social network, altre hanno puntato tutto sulla tradizione. Quest’ultima strategia qualche risultato in più l’ha ottenuto, non dico un aumento di followers, ma almeno neanche l’emorragia di “piacitori” delle altre religioni.

Ma mettiamo che all’improvviso uno scienziatone, di quelli spernacchiati da tutta la comunità scientifica, se ne uscisse con un Hal-dee-laH 2.0, che si ricarica a scienza attraverso solidi macchinari a la Iron Man? Cosa succederebbe allora?

ATTENZIONE: Loop.
«Cosa c’è dopo la morte?»
«Forse è meglio non saperlo.»
«Un giro in un supermercato pieno di sconti in una dimensione parallela del multiverso, pieno di multisale?»
«Non credo.»
«Forse è meglio non farsi questa domanda
«E perché?»
«Perché se poi la gente scoprisse che che esiste l’al di là e che ci si può stare a pensione completa per pochi spicci al giorno e ti cambiano la biancheria una volta a settimana, si correrebbe un gran rischio.»
«Quale?»
«Il suicidio di massa.»

Ed è infatti è subito suicidio di massa, perché tutti corrono a fare la fila per accaparrarsi Hal-dee-laH 2.0. Neanche le file per il nuovo iPhone…

Ed è questa ondata di suicidi che i governi del mondo devono affrontare, mentre lo scienziatone deve vedersela con il peso della responsabilità morale della propria scoperta. Come non bastasse, ci si mette anche lo scontro con il figlio, altrettanto scienziatone (tale padre figlio), che dopo aver collaborato alla costruzione del dispositivo che dimostra l’esistenza dell’al di là, di fronte all’abisso che quella macchina spalanca, ha deciso di togliersi il camice da scienziatone, in cambio di un più modesto camice da scienziato nella media.

Ma arriva il momento di fare i conti con il passato. Arriva sempre, soprattutto nei film americani. Lo scienziatone-padre con il suicidio della moglie e lo scienziato-figlio-ormai-nella-media-ma-pur-sempre-stato-scienziatone, non solo con il suicidio della madre, ma anche con Hal-dee-laH 2.0, di cui si sente in parte colpevole. Il figlio tenta disperatamente di convincere il padre a smetterla di andare a rimestare nel fanta-soprannaturale, sperando così di porre fine all’automattanza dei depressi sfiancati dalla vita.

E cosa succede quando due scienziatoni, in un duello finale, si trovano di fronte ad un dilemma fanta-morale?

ATTENZIONE: Loop.
«Cosa c’è dopo la morte?»
«Forse è meglio non saperlo.»
«Un giro in un supermercato pieno di sconti in una dimensione parallela del multiverso, pieno di multisale?»
«Non credo.»
«Forse è meglio non farsi questa domanda»
«E perché?»
«Perché se poi la gente scoprisse che che esiste l’al di là e che ci si può stare a pensione completa per pochi spicci al giorno e ti cambiano la biancheria una volta a settimana, si correrebbe un gran rischio.»
«Quale?»
«Il suicidio di massa.»
«C’è di peggio.»
«Tipo?»

La soluzione del dilemma fanta-morale è resa più difficile non solo dal fatto che lo scienziatone-padre ha trovato il modo di filmare l’al-di-là (chissà che botto di visualizzazioni avrebbe un canale YouTube con video del genere), ma anche dalla comparsa dell’amore, perché lo scienziato-figlio si innamora di un’aspirante suicida e l’etereo sentimento lo conduce al Frankensteiniano bivio: “distruggo il macchinario o riporto in vita l’amata e fanculo il corso naturale della vita?”

Beh cosa succede di fronte a un dilemma del genere?

ATTENZIONE: Loop.
«Cosa c’è dopo la morte?»
«Forse è meglio non saperlo.»
«Un giro in un supermercato pieno di sconti in una dimensione parallela del multiverso, pieno di multisale?»
«Non credo.»
«Forse è meglio non farsi questa domanda
«E perché?»
«Perché se poi la gente scoprisse che che esiste l’al di là e che ci si può stare a pensione completa per pochi spicci al giorno e ti cambiano la biancheria una volta a settimana, si correrebbe un gran rischio.»
«Quale?»
«Il suicidio di massa.»
«C’è di peggio.»
«Tipo?»
«Che a forza di smanettare con il multiverso, universi paralleli, spazio e tempo e quelle cose là, rischi dei loop temporali. E lo sanno tutti che i loop temporali sono una bella seccatura.»

La domanda fondamentale del lungometraggio è: “Ha senso vivere se conosci la fine?”. Il risvolto musicale di questo accordo narrativo potrebbe anche essere: “Vale la pena di arrivare all’ultima pagina di un romanzo, quando puoi saltare direttamente alla fine?”.

Adesso non mi sembra il caso di impantanarci in discussioni filosofiche dal sapore heideggeriano sull’essere-per-la-morte, perché annoia me al solo pensarlo, figuriamoci a chi legge questa recensione, quindi la mia risposta secca è: “No”. Non vale la pena perché si corre il rischio di vedere evaporare la propria umanità, facendo la fine del kafkiano Gregor Samsa, trasformato in un insetto.

La risposta è “no”, anche perché odio fare spoiler, quindi farò di tutto per evitarlo in questa recensione e in qualsiasi altra. Finché morte non ci separi.

Due parole finali, prima di lasciarci, sull’aspetto strettamente narratologico: incipt feroce ed accattivante, secondo atto sempre più debole e noiosetto, chiusura aggrovigliata e facile con il buon caro vecchio loop temporale, buono per tutte le stagioni, per un lungometraggio di fantascienza più di dialogo che di situazione ed effetti speciali.

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