L’incipit narrativo mostra la nostra protagonista come una donna triste e sola che lavora come infermiera in una clinica post-operatoria; al ritorno a casa, si accorge di un furto ma non avendo notizie dalla pseudo indagine della polizia si assume il ruolo di detective. Il soggetto è molto semplice e per nulla originale ma lo sviluppo narrativo prosegue sui binari giusti, in cui il regista Macon Blair riprende la narrazione con inquadrature fisse e movimenti di macchina lenti e “invisibili” cercando di creare con il montaggio, ad opera di Tomas Vengris, il giusto equilibrio tra ellissi e staticità nella narrazione.
La psicologia dei personaggi è tratteggiata con coerenza e intelligenza, trovando nei dialoghi però alcune incertezze di scrittura manifestate tramite reazioni umane non sempre plausibili. Un’altra mancanza della pellicola è data dall’assenza di una tematica incisiva che racchiuda l’anima dell’opera; la scelta di inserire una vena demenziale all’interno della narrazione funziona benissimo a tratti. Il duo formato dai due personaggi primari fornisce al lungometraggio una certa freschezza, non scegliendo una coppia comune; infatti essa dalle prime vicissitudini legate al furto, ci sembra essere male assortita ma con il proseguire degli eventi diventa il motore trainante della pellicola di Macon Blair.
La dualità del lungometraggio procede verso la commedia e il noir, componendo uno scenario assurdo in cui i personaggi agiscono d’istinto senza preoccuparsi delle conseguenze; di notevole riuscita è anche l’equilibrio tra la cupezza dei colpi di scena e il tono ironico che avvolge l’opera di buona fattura partorita dalla mente di Macon Blair.